di Paolo Fasce Il Sudoku è esploso quest’estate e ha contagiato moltissime persone. Qualcuno, nell’ambito del piccolo mondo dei giocatori italiani, lo ha criticato perché troppo semplice e ripetitivo, altri addirittura hanno accusato i mass media di averne gonfiato le potenzialità, attribuendogli un credito che non meritava. Altri ancora hanno detto che i calcolatori risolvono benissimo e rapidamente i Sudoku e non capiscono perché perderci del tempo. Immagino che nessuno dei critici di quest’ultima specie sia un appassionato di giochi. In particolare, ma gli esempi sono molti, di scacchi, dama, othello, Forza 4, Wari… Affrontare una partita di queste discipline, non è forse una “perdita di tempo” perché un calcolatore sarà sempre più bravo? A mio modestissimo parere il Sudoku è una buona cosa e qui proverò a fornire qualche motivazione, senza nascondere gli eccessi che ne hanno accompagnato il successo. In primis il tormentone dell’estate, quest’anno, è stato un gioco. Poteva esserlo il gelato al gusto di viola o una canzonetta, poteva esserlo una qualche fatalona ammogliata ad un cantante famoso, potevano esserlo i gadget dei telefonini o ancora qualcosa d’altro; e invece è stato il mondo dei giochi a farsi largo. Questo, mi pare, non accadesse dai tempi del Cubo di Rubik o del Master Mind. Di acqua ne è passata sotto i ponti e il fatto che oggi parliamo di nuovo di un gioco, non mi sembra sia cosa da disprezzare. A chi ha espresso delle perplessità sul più o meno reale successo di questo rompicapo, non posso che contrapporre qualche dato relativo alla mia esperienza personale. Il feedback che ho avuto dai lettori del Secolo XIX nel mese di Agosto, quando la mia rubrica settimanale si è occupata del Sudoku con dei suggerimenti per la risoluzione, è di gran lunga superiore alla media. Parenti e amici, noto il fatto che sono un “esperto di giochi” (per molti di loro sono semplicemente un “giocherellone”) nei nostri incontri hanno portato il discorso su questo tema, cosa che tra i non giocatori non avviene quasi mai. Aggiungo che alcuni di loro, addirittura, si sono accorti che scrivo su Il Secolo XIX, solo da quando parlo di Sudoku. Sono testimone del fatto di avere visto in treno un distinto signore, nel mese di Luglio, di ritorno da un viaggio a Roma: tentava goffamente di risolvere un Sudoku e quando questi è sceso, nei pressi di Pisa (mentre io proseguivo per Genova), confesso di essermi impossessato del giornale per capire dove si era arreso. Solo ieri (scrivo nei primissimi giorni di settembre), occupandomi di promuovere il Campionato del Mondo a Squadre di Dama Internazionale che si svolgerà (ma quando mi leggerete “che si sarà svolto”) sulla Riviera del Beigua, una stagista de Il Secolo XIX, rispondendo al telefono mi ha detto: “Paolo Fasce? L’esperto del Sudoku?! Sono una sua ammiratrice!”. Vi confesso che una cosa del genere, occupandomi di giochi, mai mi era capitata prima. Il gioco è anche entrato nel lessico. È da tempo che la parola Risiko lo ha fatto, tanti i titoli che citano questo termine sui quotidiani, spesso in ambito finanziario dove il vocabolo è in qualche modo sinonimo di guerra e confusione (“il risiko delle banche”). Associato alle questioni legate allo scandalo che ha coinvolto la Banca d’Italia e il suo Governatore, quest’estate ho udito questa locuzione “il sudoku delle banche” e Il Corriere della Sera titolava un suo pezzo “Da Fazio alla Hunziker, il sudoku dell’estate”. Non sappiamo ancora se questo termine avrà la forza di radicarsi e consolidare il suo significato laterale, ma il fatto che abbia almeno cominciato a germinare è senz’altro positivo e apprezzabile da tutto il mondo dei giochi. Non figuro certo tra i ludologi di più vasta fama nazionale, come lo sono altri stimatissimi colleghi che scrivono in queste pagine (da me molto ammirati, che prendo per modello e che leggo su Tangram sempre molto volentieri), ma il fatto che la Radio Televisione Svizzera Italiana mi abbia intercettato come “esperto di Sudoku” e mi abbia voluto in studio per una trasmissione, mai prima mi era capitato, mi pare un’altra piccola testimonianza del fatto che il successo del gioco è reale. Addirittura, leggo, è nata un’associazione che promuove un campionato italiano (www.aigis.it) e sembra che tra i suoi promotori non ci siano vecchie conoscenze del mondo dei giochi. Trattandosi di “nascita spontanea”, mi sembra significativa al fine di valutare il successo del Sudoku. Tempo fa, infine, avevo contattato delle case editrici per proporre un libro sull’Othello, ma non ho trovato un editore interessato; a causa di un Agosto genovese (io sono genovese), nell’attesa della nascita della mia prima figlia, mi è balzata in mente l’idea di scriverne uno sul Sudoku e l’editore è saltato fuori senza troppe difficoltà. Al contrario, ho avuto più di un’offerta. Alcuni accolgono questo gioco con l’atteggiamento tipico di chi ama lo status quo e quindi si riferisce al nuovo venuto come ad un parvenu. Io ho preferito accoglierlo con un “benvenuto” e ho cercato di valorizzarne il successo al fine di fargli tirare un po’ l’intera carretta dell’intero mondo dei giochi. Mi pare che il Sudoku, in definitiva, sia un’opportunità da non lasciarci sfuggire. Non capita tutti gli anni. Certamente sono state fatte delle mistificazioni. Nel mio piccolo le ho combattute, anche se non sempre con successo. Il Secolo XIX ha accompagnato i diagrammi proposti con questa frase, a mio giudizio fastidiosa perché ripetuta tutti i santi giorni e nulla sono valse le mie proteste in merito: “La matematica non c’entra. Si risolve con la logica e il pensiero laterale”. Non è da meno il Corriere della Sera, dove ho letto “E il gioco, basato esclusivamente sulla logica e non sulla matematica…”. Più correttamente Il Giornale del Popolo (del Canton Ticino), ha dato il benvenuto tra le sue pagine al Sudoku con questa indicazione corretta: “Un gioco con i numeri dove l’aritmetica non c’entra”. Il pensiero laterale, invenzione degli anni sessanta di Edward de Bono, ha poco a che fare con la risoluzione di un Sudoku. Nell’Oxford English Dictionary, alla voce “lateral thinking” si legge la seguente definizione: “… seeking to solve problems by unorthodox or apparently illogical methods”. “Apparentemente illogici” sono le parole chiave della definizione del pensiero laterale, ma nel contesto nel quale ci stiamo muovendo, i metodi risolutivi sono sempre e solo strettamente logici. “Il pensiero laterale non c’entra. Si risolve con la logica e non con l’aritmetica”. Ecco quello che occorrerebbe scrivere. Capisco perfettamente, ma non giustifico, le motivazioni di questo modo di promuovere il gioco. Si è voluto avvicinare il lettore, assicurandogli che non dovrà fare dei conti, non dovrà cimentarsi con le difficoltà che eventualmente ha avuto con la matematica (o più probabilmente con qualche suo insegnante), e ha attribuito al termine “matematica” un significato molto parziale.
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